Era il 3 aprile 2004 quando la cantante cadde dalla finestra della sua casa di campagna. Contribuì tra le prime a dare dignità artistica al canto popolare
Il dialetto era la sua lingua, quello romano prima di tutto. Diva e insieme antidiva, che cantava per una necessità dell’anima, sfrontata ed emancipata. Per tutti è stata la sua voce.
Questo e tante altre cose è stata Gabriella Ferri, scomparsa improvvisamente 20 anni fa, il 3 aprile del 2004, a Corchiano, paese della valle del Tevere in cui si era trasferita negli ultimi anni della sua vita. Cadde da una finestra. Aveva 62 anni. Era, infatti, nata a Roma il 18 settembre 1942.
La Capitale è stata il suo mondo, negli anni sessanta contribuì più di altri alla reinvenzione del suo canto popolare, in una città ormai in trasformazione. La cultura dei quartieri, a partire dalla sua Testaccio, e la scena del teatro, quando era ancora un grande spettacolo popolare. Il folk, come lo si chiamava allora. Erano gli anni di Bob Dylan.
Esplose con “La società dei magnacioni“, canzone sconosciuta scoperta su un 45 giri comprato a via Sannio, ma non era solo questo.
Interpreta la canzone napoletana “Dove sta Zazà“, la storia triste di una donna che scompare improvvisamente, un po’ come volle fare lei, dopo il successo – il bagaglino, la televisione, il cinema, le tornée all’estero. Più è conosciuta e più si maschera, si traveste, si presenta in scena come un clown, mescola gioia e tristezza. Tutto quello che cantava si trasformava, dagli stornelli alla canzone latinoamericana.
Gabriella Ferri è oggi una icona della cultura alternativa romana, non solo quella musicale. Dalla Casilina al Trullo la città è disseminata di suoi murales, immagini poetiche di una città che resiste.
Venerdì in piazza la ricorda anche la sua Corchiano.
Testo, RaiNews24