Non mi appassiona l’analisi del confronto tra i due, avvenuta ieri sera in tv, allo scopo di individuare un vincitore. E’ un’americanata che non mi piace, anche quando si tratta di altri personaggi. Anzi mi preoccupa proprio l’idea che la democrazia si riduca a una partita nella quale uno vince sull’altro e da ciò discende il diritto di prevalere. Ed è proprio questo ciò che ieri sera ha affermato (senza alcun velo né pudore) il nostro premier: le elezioni hanno lo scopo di individuare un “vincitore”.
“Vae victis”, diceva Brenno, nei confronti dei romani sconfitti, imponendo il silenzio e ogni umiliazione. Ma era il 390 a.C. e adesso, nel 2016 (dopo Cristo) abbiamo tutto il diritto di sperare che la società “civile” abbia fatto qualche passo avanti in direzione della “convivenza”. Ma il dubbio rimane! La democrazia nasce proprio allo scopo di bilanciare la “naturale prepotenza” di chi sta al potere con l’esigenza di riconoscere voce e importanza (questa è la vera rivoluzione) alle minoranze, cioè a quella parte della società che non ha avuto la possibilità di “vincere”, ma non per questo deve essere ridotta al silenzio.
Il confronto di ieri sera è stato singolare e non poteva finire in modo diverso. Da un lato la propaganda “smart” che traduce il vivere in matematica e si compiace delle proprie equazioni, anche se si tratta di norme costituzionali; dall’altro, l’approccio valoriale che ha bisogno di una visione d’insieme anche a discapito degli interessi personali o di parte.
In verità non si è trattato di un confronto, ma della manifestazione pubblica della “impossibilità di comunicare”. Entrambi (riconosciamolo) si sono presentati con una dose esagerata di supponenza: da un lato il professore che (sbagliando luogo e copione) pensava di imporre un ritmo accademico (anche scadendo sulle incapacità del dirimpettaio), senza mai andare nella sostanza della riforma; dall’altro un Presidente del Consiglio che (sbagliando luogo e copione) pretendeva di proporre la Riforma costituzionale come un prodotto delle televendite e non avrebbe sorpreso nessuno se, in chiusura, avesse promesso pentole o materassi in cambio del sì.
Non so che cosa si aspettassero i curiosi telespettatori accorsi ad assistere al confronto: forse qualcuno sperava nell’abbattimento verbale di uno dei due o comunque nell’annientamento logico di qualcuno. Certamente, però, qualcuno si è avvicinato alla trasmissione con l’intento di saperne di più sulle modifiche proposte dalla riforma che siamo chiamati a votare. Ed è rimasto deluso: né da una parte, né dall’altra si è assistito all’intenzione di trattare degli articoli della Costituzione.
Non si è parlato di Costituzione, ma ciò che emerso è persino più importante: il nostro Paese è posseduto da personaggi animati da logiche “efficientiste” che, in ragione della snellezza giustificano la prevaricazione, in ragione della semplificazione accentrano le funzioni, in ragione della comprensibilità promuovono la “superficialità”.
Non era possibile un confronto tra un modello culturale che vive di propaganda e culto della “vittoria” e interpreta gli interventi di riforma in termini di “costi” e non di “valori”, in aperta contrapposizione, a un modello fondato sulla mediazione sociale, sulla inclusione e sulla valorizzazione degli equilibri istituzionali e sociali.
Non so chi abbia “vinto” ieri sera. So bene chi ha perso: il buon senso e la speranza di costruire un sistema di “convivenza civile”