Come è cambiata le geografia della ricchezza con la crisi economica. Stando a tutti gli studi realizzati da organismi nazionali e internazionali non vi è dubbio: i ricchi sono diventati più ricchi e la classe media si è impoverita trasformandosi in classe medio-bassa. I poveri, ça va sans dire, tali rimangono.
L’ultimo rapporto del Censis ha rivelato che i 10 uomini più ricchi d’Italia dispongono di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie messe insieme.Un quadro dai contorni nitidi sulle disuguaglianze sociali che restituisce un altro dato: poco meno di 2mila italiani ricchissimi, membri del club mondiale dei paperoni, dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi di euro (senza contare il valore degli immobili).
“Le distanze nella ricchezza sono cresciute nel tempo – osserva il Censis – oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente è pari a 5,6 volte quello di un operaio, mentre era pari a circa 3 volte vent’anni fa. Ecco allora che è facile prevedere come gli 80 euro messi in busta paga saranno subito spesi dalle famiglie. Il Censis stima che 2,7 miliardi di euro (dei 6,7 miliardi totali previsti dal decreto del governo) andranno ad alimentare la domanda interna.
I dati confermano l’analisi della Banca d’Italia effettuata nell’ottobre scorso sulla distribuzione del reddito a livello territoriale in Italia (leggi il rapporto). “Nel 2011 l’indice di Gini, la misura più comune della disuguaglianza, era pari al 40 per cento. – si legge nel documento – Nel Mezzogiorno l’indice era superiore di oltre 3 punti percentuali rispetto al Centro Nord, soprattutto a causa della minore quota di reddito detenuta dalla coda bassa della distribuzione. La disuguaglianza è inoltre più elevata nelle maggiori aree metropolitane. L’indice di Gini è aumentato negli anni interessati dalla crisi economica, a fronte di una tendenza di segno opposto nella prima metà degli anni duemila. Tali dinamiche sono state trainate da una flessione dei redditi, più accentuata per quelli inferiori alla mediana. Sono tornati, inoltre, ad ampliarsi i (già marcati) divari territoriali”. Un’altra analisi di Bankitalia sui ‘Bilanci delle famiglie italiane nel 2012’ mostra come la quota in mano al 10% delle famiglie più ricche sia salita al 46,6% della ricchezza netta totale (era il 45,7% nel 2010).
Nel mondo la situazione non è molto diversa. La rete internazionale di Ong OXFAM ha portato alla luce un altro aspetto nella ricerca “Working for The Few”: l’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri ha portato a un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti. Nel rapporto vengono evidenziati alcuni fattori: la ricchezza dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari (46% della ricchezza totale), 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo; la ricchezza di 85 super ricchi equivale a quella di metà della popolazione mondiale; negli USA, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito.
Secondo i dati del World Wealth Report 2013, la popolazione globale dei super-ricchi, individui con un patrimonio investibile pari o superiore a 1 milione di dollari con esclusione di residenze private, oggetti da collezione, beni di consumo e altri beni durevoli, è aumentata del 9,2% raggiungendo i 12 milioni di persone.La classifica per paese, vede l’Italia al decimo posto con un numero totale di Paperoni cresciuto del 4,5% a 176.000 individui nel 2012.
Le conclusioni sono amare: la crisi non ha impoverito tutti, ma ha accentuato le disuguaglianze a favore di pochi. Il sistema ha retto negli Stati che hanno ampliato le proprie politiche di welfare e si sono in parte avvantaggiati dalla crisi, come la Germania. Non a caso dopo un brusco aumento al 30,4 del coefficiente Gini, dal 2007, in piena crisi, l’indice delle disuguaglianze torna a scendere anno dopo anno, in totale controtendenza.
In Paesi più vulnerabili, come l’Italia, con la crisi sono stati bruciati 200 miliardi di reddito annuo, 3.500 euro per abitante, stando a una stima di Confindustria, in sei anni sono state spazzate via 134mila piccole imprese (dati Cgia Mestre) e solo nel 2013 sono stati persi 365mila posti di lavoro, mille al giorno (Istat). Le conseguenze di tutto ciò possono essere imprevedibili se i governi non intraprendono politiche per la ricostituzione del tessuto sociale e di redistribuzione della ricchezza. La cara e bella classe media italiana, sorta dal miracolo economico, ancora sopravvive sfruttando alcune rendite di posizione e i risparmi accumulati, ma non potrà farlo a lungo. Il rischio è che la crisi, da cui non si è usciti del tutto, dopo aver logorato il ceto medio, lasci dietro di sé solo macerie.