Abbiamo dato ampio spazio ieri alle minacce indirette giunte alla redazione del quotidiano on line del viterbese Tusciaweb per la pubblicazione di un articolo sul funerale dei Casamonica. Ci giunge un messaggio da Daniele Camilli, giornalista che ha firmato l’articolo che ha fatto così indignare la malavita che condividiamo volentieri con i nostri lettori.
Faceva più paura mia madre quando da ragazzino mi tirava appresso oggetti volanti non meglio identificati costringendomi a correre più veloce di loro. Per questo ho cominciato a fumare con ritardo rispetto a tutti gli altri. Avere buon fiato in corpo era tutto, quantomeno per correre più veloce di mia madre. Una volta – avrò avuto sì e no 15 anni – mi tirò una pagnotta di pane del diametro di 2 metri. Una di quelle che faceva mia nonna. Partì dalla “pergola”, tirata con la forza di un lanciatore di giavellotto. Dritta per dritto superò l’area del forno, il portone di casa e si infilò in cucina. Ad altezza d’uomo. Feci in tempo a scappare e ad abbassarmi, inseguito dal pagnottone gigante che si schiantò contro la vetrinetta dove mia nonna Rosa conservava un servizio simil cristallo, l’unico regalo di nozze risalente al 1948. Una mattanza di vetri e bicchierini da caffè. Mi voltai e le dissi… “eh, cara mia, mo’ so’ cazzi tua!”. Avrebbe appendermi sul camino al posto dello “scallaletto”. Però c’era mia nonna. E tutto finì con mia nonna che rincorse mia madre per l’aia, impugnando la pala del forno.Non ho paura. Il punto non è questo. Sono figlio di braccianti agricoli e di operai. Lavoro da quando ho 16 anni – prima per mantenermi agli studi, poi per campare – e ne ho viste di tutti i colori. Mi sono beccato la mia coltellata all’Università ai tempi dei movimenti e dal G8 di Genova ritornai decisamente malconcio. Non ho paura della morte, ma del “morire” giorno dopo giorno. Ma questa è un’altra cosa. Fermo restando che roba del genere – la lettera ritrovata al Terminal Riello – va sempre presa sul serio, perché – poi – quando si muore, si muore per davvero. Quando ti mandano all’ospedale – e a Viterbo, ultimamente, capita spesso – ti mandano all’ospedale sul serio. Non credo nemmeno che la matrice sia mafiosa o di estrema destra (quella, almeno, che opera o picchia alla luce del sole), e spero proprio che i nostalgici del fascismo non cadano in qualche trappolone costruito ad arte per farli sentire braccati, vittime di una specie di complotto e “aizzarli”. Qualche segnale qua e là c’è già. Prima ancora che “pericoloso” per me, sarebbe stupido. Anzi, sarebbe proprio da “stronzi”. E quei pochi che conosco non sono né stupidi, né stronzi. E spero proprio di non sbagliarmi. Certo, quanto accaduto è veramente strano. Strano il ritrovamento, strane le circostanze, stranissime le coincidenze. Strano il riferimento ad un cognome – Esposito – che nell’immaginario viterbese chiama alla mente anche un ragazzo scomparso purtroppo due anni fa. Strani infine quei caratteri fascistoidi stile “Signore degli Anelli” con cui è stata scritta la richiesta di “rompermi il muso” e il passaggio in cui si scrive “fareste una cosa che rende giustizia a tanti”. Credo però che il “mandante” e l’“esecutore” di questa manovra, chiamiamola così, sia viterbese. Con quali obiettivi non è chiaro. Fatto sta che se vedesse me, Carlo Galeotti e la redazione di Tuscia Web al San Lazzaro farebbe magari i salti di gioia. E forse il suo obiettivo è proprio questo, magari per interposta persona.
Detto ciò, non fa bene alla salute leggere che qualcuno possa chiedere ai Casamonica – che, immagino, in questo momento abbiano altro a cui pensare, soprattutto alla propria “immagine” – di mandarmi al camposanto. Fa male e si sta male. Così come fa male e si sta male quando ci si deve guardare le spalle in continuazione perché si fa il proprio mestiere. Ma sono anche i rischi del mestiere. Rischi che si accettano fin da subito, altrimenti è meglio cambiare lavoro. Anzi, è meglio non iniziarlo per niente.
Non da ultimo, voglio ringraziare di cuore tutti coloro che hanno manifestato la propria solidarietà tramite comunicati stampa, sms, whatsapp, mail, telefonate e di persona. Vi voglio bene, è la cosa che mi sento di dire. Una cosa che racchiude tutti i miei sentimenti in questo momento. Voler bene, la cosa che rende umani, distinguendoci dalle “bestie”, che non sono di certo gli animali, vittime anch’esse di certe “bestie”. Siete stati preziosi, perché ieri e l’altro ieri, quando mi è stata consegnata la lettera, qualche sbandamento e abbattimento l’ho avuto. E chiedo scusa a tutte quelle persone cui ho risposto male, spinto dall’emotività dettata dalle circostanze.
Grazie di cuore, infine – e sempre non da ultimo – a Carlo Galeotti e a tutta la redazione di Tusciaweb. Grandi professionisti e magnifiche persone, compagni di viaggio con cui è bello “condividere il pane” di un lavoro sempre più difficile, in una città sempre anomala e violenta. Un lavoro che resta comunque straordinario perché permette ancora di scrivere su tutto ciò su cui alcuni vorrebbero invece tacere…o che si taccia.
Daniele Camilli