Una volta erano le nonne a chiederti quando avresti fatto un figlio. La domenica a pranzo, tra una forchettata alle fettuccine e un morso al coscio del pollo, ti buttavano là la fatidica domanda: “Ma un nipotino quando me lo fai?”.
Ma sentirsi fare questa domanda da un ministro della salute è veramente paradossale.
E’ da ieri che io alle porte dei miei 31 anni sento il tic toc di un orologio biologico del quale me ne ero strafregata fino ad ora. Ma accanto all’ansia arrecata da questa campagna denominata #fertilityday, sale l’amarezza, il disagio e la rabbia di non veder presi in considerazione i miei diritti e le mie aspirazioni.
Di fatti, se da un lato il Ministero della Salute ha speso non so quante migliaia di euro per creare una campagna di promozione del concepimento tra coppie giovani, dall’altro lato ci sono migliaia di donne italiane che si sentono felici e realizzate anche senza figli.
Mi spiego meglio.
Dove sta scritto che una donna o una coppia debba necessariamente essere felice con la presenza di un ”marmocchio”? Esistono persone, donne in primis, che dopo aver fatto la gavetta per anni, essersi spaccate la schiena sullo studio e sul lavoro, alla soglia dei 30 anni si sentono realizzate e vogliono godersi questo momento. E la loro realizzazione non necessariamente verte sulla presenza di un infante. E di certo non deve essere il ministro Beatrice Lorenzin ( che tra l’altro mi sembra di ricordare abbia avuto il suo primo figlio solo lo scorso anno quando non era più una giovincella) a ricordarmi che il mio utero invecchia di pari passo con il mio corpo.
Il ministro inoltre, in qualità di membro del governo, dovrebbe preoccuparsi di un altro aspetto: Se molte donne decidono di aspettare ad avere un figlio, non è di certo perchè non hanno il desiderio di maternità, ma perchè forse vogliono garantire stabilità ad un figlio dopo aver trovato un lavoro, una situazione utopica dopo i 35 anni, figuriamoci prima.
Insomma cara Lorenzin, parafrasando quello che è stato detto da alcuni movimenti qualche anno fa in materia di aborto, l’utero è mio e ci faccio quello che mi pare. E sarebbe anche il caso, caro ministro, che si inizi a portare rispetto per le scelte altrui, partendo dalla scelta di essere felici, qualsiasi forma la felicità possa assumere. Forse sarebbe meglio che invece del fertility day, visto che piace così tanto l’inglese, si iniziasse a parlare di respect day. Le campagne sulle famiglie lasciamole alla Chiesa.