“La morte di croce del venerdi e l’evento della Resurrezione della domenica di Pasqua del Gesù umano, costituiscono le fondamenta della fede dei cristiani, l’essenziale per vivere in mezzo agli altri uomini. La morte di croce, decisa dalle istituzioni religiose e civili, testimonia la misura dell’amore di Dio per l’uomo: è risposta di amore all’odio e al male, è perdono fino ai nemici, è amare fino a dar la vita! La Resurrezione stabilisce una volta per tutte che l’amore vince sulla morte, perchè quella narrazione di Gesù fedele all’essenza di Dio – cioè che Dio è Amore – spinge il Padre a rispondere al Figlio con una risposta di amore e di salvezza: una vita oltre la morte per il Figlio e, per effetto, testimonianza di salvezza per tutti gli uomini, nessuno escluso.
Questo è il Dio dei cristiani raccontato da Gesù, il Dio al quale molti non riescono a credere, anche per il male eccessivo che si è registrato e si registra ancora nel corso della storia degli uomini; é il Dio che non interviene il venerdi, quando si registra la non risposta al male, all’odio e all’onnipotenza dell’uomo (anche religioso), con le logiche del male, dell’odio e dell’onnipotenza di Dio, fino a far pensare ad un fallimento dell’amore!; é il Dio che interviene la domenica, quando si registra la risposta del Dio Amore al servo che vive per amore, fino a dar la vita per amore: dal fallimento alla vittoria dell’amore!
Molte persone non credono anche oggi e quelli che credono come me mostrano, sovente, le stesse incredulità e gridano l’assenza di Dio, soprattutto per l’eccesso di male e di sofferenze che si registrano nel tempo che viviamo. Chi cerca di credere in questo Dio non onnipotente, ma onni-amante (secondo la bella espressione di Paul Ricoeur) può solo sperare che l’immagine dell’uomo che sta al servizio degli altri per amore e rinuncia ad ogni potere, sia un immagine che ancora oggi possa essere eloquente. Un immagine che possa suscitare senso e ragione per vivere!
Quindi, per i cristiani, la fede andrebbe vissuta come atto di libertà nel credere o nel mettere fiducia nell’Amore gratuito, che è più forte del male e dell’odio, e nella vita, senza un termine, oltre questa vita. Ecco, perchè, la festa di Pasqua andrebbe sempre raccontata come una festa di “liberazione”, da tutti i mali e dalle sofferenze che ancora oggi ostacolano il vissuto di una vita da vivere in pienezza, e una festa di speranza che orienta verso una fiducia che il Signore ritorna secondo la Sua promessa! E i cristiani, di ogni tempo, dovrebbero fare l’esperienza di amare l’attesa e di affrettarla: cioè, di non veder l’ora che il Gesù che hanno tanto amato possa venire! E, addirittura, che la sua venuta si manifesti nel tempo della loro vita!
Queste sono le esperienze che – chi segue Gesù – dovrebbe vivere all’interno e fuori dalla chiesa, in mezzo agli altri uomini e alle donne che dicono di non credere, che credono in altre religioni o in altre idee, valori o principi. Mostrare che vale la pena di vivere amando gratuitamente e contagiare gli altri attraverso la viva speranza che attendiamo il Signore risorto, che l’amore che abbiamo vissuto nel nostro tempo non andrà perso e che vivremo oltre la morte in una terra e in cielo nuovo in cui l’amore potrà viversi pienamente: non più contraddetto dal male, dalle malattie e dalle sofferenze. Dobbiamo, però, riconoscere che nel nostro tempo spesso non mostriamo una speranza che attrae, che riscuote fiducia: anzi spesso i problemi complessi di questo mondo – problemi individuali e problemi collettivi – fanno dimenticare ai credenti di mostrare una speranza, un senso del vivere amando gli altri, ed un attesa gioiosa da vivere quotidianamente perchè speriamo, con gioia, che il Signore viene! Ecco perchè Friedrich Nietzsche rimprovera ai cristiani: “Io crederei nel Vostro Dio se voi aveste un viso da salvati”.
Dovremmo dirci, poi, con altrettanta semplicità, se nel tempo in cui stiamo vivendo avvertiamo un bisogno di speranza legato alle nostre esistenze minacciate (dalle guerre, dalle malattie, dalla fame del mondo sempre più visibile…), alla precarietà, alla inadeguatezza e alla stessa fragilità umana. Gli stessi strumenti che oggi abbiamo a disposizione, peraltro, dovrebbero assicurarci analisi più rapide, sintesi e processi di valutazione delle gravi crisi economiche, ambientali e sociali che interessano tutto il pianeta. Ma, soprattutto, dovrebbero farci approdare ad un percorso più a medio e lungo termine, nutrito di silenzio, di ascolto, di presa di coscienza di quanto l’uomo sia responsabile ed interdipendente alla comune insicurezza che interessa tutta l’umanità. E di quanto sia importante “l’ascolto” e la “mediazione” nei luoghi decisionali. Le guerre e le malattie ancora presenti e stabili in Africa, in medio oriente e in altre regioni del mondo, la pandemia (per il coronavirus) che ha avuto origine in Cina, fino ad estendersi negli ultimi giorni al resto del mondo (a partire dall’Italia), e le evidenti responsabilità alle quali l’umanità intera non può sentirsi esentata, dovrebbero poi portare gli stessi cristiani a non essere passivi, disinteressati, e a rinvigorire la speranza attraverso le fondamenta della propria fede. Responsabilità e speranza che Papa Francesco, proprio di recente, ha voluto far emergere attraverso l’omelia inserita nella celebrazione e nella giornata di preghiera per la pandemia. “…Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e inattesa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca…ci siamo tutti… Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato…non è il tempo del giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. E’ il tempo di reimpostare la vita verso di Te, Signore, e verso gli altri…Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente…significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità e di solidarietà…Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza” (Omelia, Basilica di S. Pietro, 27 marzo 2020)
Parole di grande speranza, che ci possono aiutare ad orientarci in questo tempo e a riscoprire fiducia per una vita oltre questo tempo. Si, “siamo tutti sulla stessa barca”. Ed i cristiani che sono chiamati a “rendere conto a chiunque ce lo chieda della speranza che è in noi (lett.: ‘in voi’)”(1 Pt 3,15), sanno bene che non hanno alcuna “corsia preferenziale”, e se hanno veramente imparato un po’ di quell’amore generato da A(a)ltri e riversato nelle relazioni con chi hanno deciso di farsi prossimo, dovrebbero essere capaci di sperare una salvezza non solo per se stessi, ma per tutti, abbracciando tutti nella loro speranza! Si, la Pasqua è misura dell’amore e speranza per tutti: è capacità di amare gratuitamente e di mettersi al servizio di altri uomini e donne che incontriamo nel sentiero della vita; servizio e amore gratuito che ci hanno mostrato “sotto voce”, in questi giorni, medici ed operatori sanitari – diversamente dallo “spettacolo” di chi oggi vuole autodefinirsi eroe e di chi usa il “megafono” quando fa la carità – che hanno deciso di rischiare la propria vita per salvare quella degli altri, sino, purtroppo, ad imitare la morte del venerdi: una morte in cui si ama l’altro, ci si mette al servizio della vita dell’altro! E la Pasqua è anche capacità di mostrare la gioia, mentre attendiamo Colui che viene per indicarci il tempo e i luoghi nuovi per una vita oltre questa che ci è stata concessa, e per ricordarci che ci sarà un giudizio che riguarderà tutti: perchè la salvezza è per tutti gli uomini e la volontà di Dio è che tutti gli uomini siano salvati!
Si, i cristiani devono evitare ogni particolarismo, ed essere solidali anche con l’ambiente e tutti gli altri esseri animati e inanimati, sperare ed amare un salvezza universale che non comprenda solo l’umanità! E bisogna sperare sempre nel Dio dalla sconfinata Misericordia, perchè ci è stato raccontato che al termine della storia umana il Suo giudizio sarà di Amore e sull’amore. Ci verrà chiesto, infatti, se siamo stati capaci di amare, se ci siamo fatti prossimo a coloro che avevano più bisogno, agli ultimi, ai più “piccoli”. Non ci verrà chiesto dell’appartenenza ad una religione o se abbiamo avuto fede. E se come credo, ma non ne sono sicuro, ci presenteremo davanti al Creatore come quelli di aver contraddetto, in tanti momenti della nostra vita, l’A(a)more, allora – vivendo in quegli attimi sentimenti di timore e di speranza – sono certo che il Dio-misericordia, che abbiamo iniziato a conoscere attraverso l’umanità di Gesù, ci purificherà con Amore preveniente (prima ancora del nostro pentimento) e ci indicherà lo spazio ed il tempo (ormai per sempre) dove vivremo l’amore pieno, non più contraddetto dal male, dalle malattie, dalle sofferenze. Ci sarà ancora qualcuno che, nel tempo del giudizio, rinuncerà a vivere l’Amore? In quel tempo, chi ci giudicherà sull’A(a)more ci lascerà ancora liberi! Nella libertà di partecipare alla festa di Pasqua, tutti gli uomini e le donne sono invitati.
Giorgio Lauria