“Conosco bene il significato della parola sabotaggio l’ho praticato qui a Torino, negli anni Ottanta. Per 37 giorni e 37 notti sono stato alla Fiat Mirafiori, dove con gli operai abbiamo bloccato la produzione. Il verbo sabotare è nobile sottolineato ha un significato molto più ampio dello scassamento di qualcosa. Lo usava anche Gandhi. Io sostengo che la Tav vada sabotata. Anche un ostruzionismo parlamentare è un sabotaggio rispetto a un disegno di legge. Ma quello che riconoscono a me, non lo riconoscono a Bossi o Berlusconi. Eppure io valgo per uno. Non ho un partito. Non ho una sezione in cui andare a sobillare. Non sono aderente a nulla. Io sono un cittadino della Val di Susa“.
Sono queste le parole pronunciate questa mattina nell’aula di tribunale a Torino da Erri De Luca, accusato di aver detto che bisogna sabotare la TAV. L’accusa: “istigazione a delinquere”.
A prescindere dalla mia opinione sul progetto TAV, qualunque esso sia, io mi rifiuto di credere che oggi, dopo pochi giorni dall’attentato a Charlie Hebdo, si vada in tribunale per aver espresso il proprio pensiero.
Io mi rifiuto di pensare che un giorno potrei essere io a trovarmi davanti ad un giudice per aver esposto il mio dissenso.
Troppi morti, troppe bocche cucite e troppi occhi chiusi la nostra Italia ha dovuto sopportare nella sua lunga vita. Non credo che un processo sia un’opzione valida alla violenza.