Se il Comune non attiva la raccolta differenziata o la realizza in modo insufficiente e inadeguato, si configura il danno all’erario, sia per gli amministratori, sia per i dirigenti responsabili.
E’ quanto risulta dalle diverse decisioni assunte dai giudici della Corte dei conti, già a partire dal 1997, periodo in cui, in Campania, le inerzie delle amministrazioni locali avevano determinato le note di inquinamento ambientale, oltre che il ricorso a rimedi “forzosi”.
La tendenza dei magistrati contabili è quella di ritenere che Il danno pubblico patrimoniale, sia determinato sia dall’ingiustificato costo sostenuto a titolo di tariffa smaltimento rifiuti per il conferimento del rifiuto indifferenziato, sia per il mancato introito derivante dalla cessione del materiale recuperato.
L’orientamento sembra ormai consolidato ed è stato confermato in una recente sentenza (leggi) emessa nei confronti del Comune di Recco. In quella circostanza la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti di Genova ha condannato, al risarcimento dei danni il sindaco, il vicesindaco, l’assessore all’ambiente e il responsabile del servizio ambiente e manutenzione. Trattandosi di un comune con una popolazione di poco oltre i 10.000 abitanti, il procuratore generale della Corte dei Conti, in quella circostanza ha chiesto e ottenuto la condanna al risarcimento di oltre 1 milione di euro per danno erariale, oltre a 81 mila euro per danni ambientali, ma questi ultimi non sono stati riconosciuti.
In particolare rileva il giudice contabile che l’azione di responsabilità per danno erariale nei confronti degli amministratori non nasce solamente dal mancato esercizio da parte degli amministratori dell’azione risarcitoria nei confronti degli autori del fatto dannoso, ma “dall’avere essi stessi, con il loro colpevole antidoveroso comportamento contribuito al verificarsi del danno”.
Si trovano in questa condizione tutti quei comuni che non hanno proceduto ad avviare o estendere la raccolta differenziata. E il danno è ancora più grave se in sede di bilancio hanno previsto l’incremento dell’imposta (TARSU) ai fini dell’attuazione della raccolta differenziata, se ciò, invece, non è avvenuto.
La questione, in ogni caso, non ha soltanto un risvolto “monetario”, ma assume un importante valore politico, soprattutto alla luce delle prossime scadenze, in occasione delle quali gli enti locali sono chiamati al conseguimento di specifici standard di raccolta differenziata dettati dalla normativa nazionale e regionale.
L’argomento è di sicura attualità anche per il nostro territorio e in particolare per il Comune di Ladispoli, dove, per circa tre anni consecutivi il servizio di igiene urbana è stato affidato, “in via eccezionale” con la reiterazione di ordinanze sindacali “temporanee”, interrompendo il previsto ampliamento nell’estensione delle aree da destinare alla raccolta differenziata domiciliare, avviato diversi anni fa per due quartieri della città. A ciò si aggiunge l’incremento della TARSU, a decorrere dal 1° gennaio 2011, proprio con la motivazione della estensione della raccolta differenziata in tutto il territorio cittadino, che non è mai avvenuta, né è stata avviata.
Sorprende inoltre che, proprio, in prossimità della scadenza del termine fissato per il conseguimento degli standard di differenziazione dei rifiuti, il Comune, annunci di volere dismettere (per ragioni oscure, che per questa ragione sono definite “politiche”) l’unico sito di compostaggio e stoccaggio degli inerti (RECIN) che si trova nel territorio, causando, oltre che danni all’impresa e ai lavoratori, ulteriori e ingiustificati costi per il conferimento dei rifiuti.