Riceviamo e pubblichiamo – Questa storia inizia con l’accordo bilaterale del 2007 fra l’allora Ministro Fioroni ed il suo omologo romeno; accordi stipulati in seguito anche da altri 7 Paesi europei. La “Corrado Melone”, come tante altre scuola, si candidò ad accogliere il corso di lingua, cultura e civiltà romena, fu scelta e da allora vi si svolge tranquillamente.
Inizialmente il corso era facoltativo, in orario pomeridiano, ma 4 anni fa, quando nella “Corrado Melone” (che era inizialmente solo secondaria di primo grado) in seguito alla Legge Gelmini, giunsero le classi della primaria e dell’infanzia, proposi alle maestre di essere affiancate dalla docente di romeno e di insegnare la lingua, la cultura e la civiltà romena anche nelle loro classi, in orario mattutino, cioè all’interno delle normali lezioni, per fare in modo che i nostri bambini si conoscessero meglio fra loro e non avessero timori gli uni degli altri. L’idea fu accettata con entusiasmo. Ovviamente ci furono i passaggi democratici, previsti per Legge, del Collegio docenti, poi del Consiglio di Istituto ed infine dei Consigli di classe che approvarono l’idea all’unanimità. Furono quindi spiegate le ragioni ai genitori, che chiedevano giustamente il motivo di questa novità, ed in breve anche le perplessità di quei pochissimi genitori, che inizialmente non gradivano la nostra scelta, rientrarono e per 4 anni il corso ha riscosso gradimenti generali. Quando fui nominato a dirigere anche la “Ladispoli 1”, proposi ai docenti il 3 settembre, in sede di Collegio Docenti la stessa idea, e mi si rispose che da anni anche lì, in alcune classi, si faceva la stessa cosa, anche se non tutti i passaggi burocratici erano stati svolti.
Nel periodo temporale che ha permesso la regolarizzazione burocratica, con un Consiglio di Istituto in scadenza, e l’organizzazione dei corsi, solo poche classi prime avrebbero potuto usufruirne perché la docente a nostra disposizione è purtroppo solo una, un politico a livello nazionale ha definito pazzesca la nostra didattica, radicalizzando prese di posizione diventate a quel punto partitiche. I servizi televisivi hanno così evidenziato una xenofobia che sembrerebbe diffusa solo perché più rumorosa e sguaiata, ma ciò che ha fatto più male non sono state le urla, gli insulti o l’italiano approssimativo di certi “italiani puri”, ma la frase di una gentile signora, la quale vive da oltre 10 anni in Italia, lavora in nero facendo le pulizia in casa di italiani che evadono il fisco e che, parlando un perfetto italiano, ha affermato di sentirsi ancora “straniera”. Per me che sono vissuto nella falsa idea che gli italiani siano un popolo superiore perché ospitale è stato un colpo veramente duro.
Ma torniamo ai dettagli. La docente di romeno è una professoressa retribuita direttamente dal Governo di Bucarest, la Scuola italiana non riceve e non paga un centesimo, nemmeno per le fotocopie dei lavori da somministrare ai bambini in classe. Lei entra in classe ed affianca la maestra titolare lavorando in compresenza, approfondendo i concetti e spiegandoli in romeno, insegnando filastrocche e canzoncine, sottolineando similitudini e diversità fra le due lingue … insomma integrando con l’illustrazione della cultura romena, le nozioni spiegate dalla maestra italiana. Non c’è quindi alcuna sostituzione di ore curricolari con lo studio di una lingua straniera (cosa che sarebbe comunque permessa dalla Legge sulla autonomia scolastica), ma solo integrazione ed approfondimento. Ovviamente non esiste alcuna valutazione a fine corso perché in classe continua a rimanere la titolare che semplicemente si avvale dell’esperta esterna come fa con tanti altri progetti, la maggior parte dei quali a spese delle famiglie.
L’affermazione che la lingua inglese sia più utile del romeno (e dell’italiano, visto che le lingue “ufficiali” della comunità europea sono solo l’inglese ed il francese), è fin troppo ovvia. Ma la presenza del corso di romeno non riduce assolutamente nulla dell’insegnamento previsto, anzi lo migliora perché i bambini aumentano l’interesse, la curiosità ed il divertimento con la presenza di una ulteriore figura in classe e con i nuovi suoni che ascoltano. Naturalmente la docente titolare svolge le sue lezioni regolarmente, anzi meglio grazie al supporto dell’esperta esterna, ed ovviamente nulla è tolto nemmeno all’insegnamento della lingua inglese (peraltro non prevista nella scuola dell’infanzia, ma attuata alla Melone, sebbene con finanziamenti dei genitori). Tutti siamo naturalmente d’accordo sulla necessità di potenziare l’insegnamento dell’inglese (attualmente lingua franca nel mondo, come lo era il tedesco prima di perdere la seconda guerra mondiale), ma è pur vero che nessuno (certamente non il Governo britannico) fornisce sufficienti fondi alla Scuola per avere, ad esempio, una madrelingua inglese che sarebbe utilissima per l’apprendimento dei suoni (che differiscono fra lingue diverse), molto più delle stesse pur preparate insegnanti di classe.
Al di là del fatto che lo studio (oltretutto gratuito) non faccia male a nessuno, ma anzi incrementi le capacità intellettive di ciascuno, uno dei motivi di questa scelta deriva dal fatto che a Ladispoli i cittadini romeni di prima e seconda generazione o gli italiani di origine romena rappresentano circa il 20% della popolazione e la Scuola, ovviamente, rispecchia queste percentuali, per cui in ciascuna classe almeno 5 p 6 bambini sono romeni. I bambini ed i ragazzi romeni, spesso bilingue, conoscono perfettamente l’italiano e spesso si rivelano più bravi a Scuola perché più attenti e motivati nello studio. Invece i bambini italiani non conoscono lingua, usi e costumi dei loro compagni di banco o di classe.
Tutti sappiamo che l’uomo ha una paura ancestrale di ciò e di chi non conosce; ascoltare lingue incomprensibili per strada potrebbe infastidire e rendere diffidenti, dalla “non conoscenza” e dalla diffidenza nascono conseguentemente incomprensioni e poi l’odio. La nostra Scuola ha come scopo fondamentale quella di generare pace, fratellanza e amore, ma queste possono nascere e progredire solo se esiste reciproca conoscenza. Avendo l’opportunità di avere un corso gratuito di lingua, cultura e civiltà romena è stata “automatica” l’idea di proporre il corso in orario curricolare e me ne assumo tutte le responsabilità.
Sorvolando sul fatto che la conoscenza delle lingue straniere (utili o meno che siano) è indiscutibilmente un arricchimento culturale immenso, compito della Scuola è aiutare l’integrazione e minare alla base le possibili radici dell’odio. Se abbiamo in classe due bambini, di cui uno amasse la matematica ed uno la odiasse, la Scuola avrebbe l’obbligo di puntare maggiormente l’attenzione al secondo, spiegandogli l’importanza della matematica che lui non comprende ed allontana da sé. Così per il romeno: chi ama il proprio prossimo, non ha nulla da apprendere da questo corso (se non come arricchimento culturale e linguistico, che, come detto, aiuta anche l’apprendimento dell’italiano), mentre proprio chi proviene da famiglie nelle quali regna l’ignoranza deve frequentare questo corso, affinché conosca meglio il proprio vicino di banco o di casa, scoprendo che poi non è così diverso da sé. Ecco perché il corso si svolge di mattina e non è facoltativo: di pomeriggio lo seguirebbe solo chi non ne ha bisogno.
Si dice che l’Italia sia il Paese dell’accoglienza, ma non è così. O meglio, non lo sono tutti gli italiani, lo diceva anche Pasolini quando ricordava i cartelli “vietato l’ingresso ai terroni” presenti in alcuni negozi milanesi solo qualche anno fa. Se un buon numero di cittadini non ha dimenticato come furono trattati i nostri bisnonni o i nostri nonni che emigrarono in America e in Germania, molti altri (troppi, anche se sono una piccola, ma rumorosa, minoranza) sono intrinsecamente xenofobi e perciò antieuropeisti, semplicemente perché sono ignoranti. “Ignoranza” intesa non nel senso dispregiativo, ma nel senso etimologico di “non conoscere, non sapere”. Questa ignoranza produce i mostri dell’odio e del rifiuto del prossimo e su questi sentimenti, che non appartengono agli italiani e comunque non sono sentimenti cristiani, alcuni squallidi personaggi politici (che fanno carriera sfruttando questa ignoranza e questa diffidenza) “cavalcano” l’onda del disprezzo verso gli stranieri per avere consensi utilizzando la “pancia” invece del cervello degli elettori. La prova della loro ipocrisia appare quando questi stessi politici disprezzino i musulmani, ma facciano riverenze a quegli arabi che portano soldi ed acquistano palazzi di molte città italiane, a cominciare dalla Milano di quel Bossi che ha mandato il figlio a prendersi una laurea in un Paese ad est dell’Italia.
La Scuola dello Stato deve essere migliore di quelle persone che trattarono gli italiani emigrati come fossero pezzenti, mafiosi, mangia spaghetti, violenti ed ubriaconi. Non che fra quegli italiani non ci fossero mafiosi, violenti od ubriaconi, ma non erano tutti così perché la “malaerba” è ovunque. A giudicare dalle firme messe per chiedere l’eliminazione del corso (a quando una raccolta firme per eliminare il greco ed il latino altrettanto “inutili”?), una, minima, parte dei ladispolani, pensa che i romeni siano un popolo arretrato, ignorante, composto da ladri, assassini, ubriaconi e stupratori, ma non è così, come nemmeno noi siamo così, nessuno lo è, ci sono i buoni ed i cattivi ovunque. Se è stupido pensare che siamo tutti dei Michelangelo (viste le opere stupende che ci hanno lasciato alcuni italiani del passato) o tutti dei mafiosi (viste le malefatte di alcuni italiani del presente), altrettanto stupido è pensare lo stesso delle altre popolazioni. La Scuola dello Stato deve insegnare ad essere migliori, perché noi siamo migliori di quegli xenofobi dalla mente ristretta che trattavano gli italiani da stupratori ubriaconi o che ora straparlano di “Italia pura”.
Qualche parola di chiarezza va spesa per chi, facendo politica da ignorante (sempre nel senso di “non conoscere”, “non avere informazioni complete su un dato argomento”), non conosce la struttura e le norme scolastiche, ma si permette ugualmente di ergersi a giudice, senza conoscere ciò di cui parla. La libera scelta del genitori si esplica nel momento in cui opta di iscrivere il proprio figlio in un certo istituto piuttosto che in un altro. Se fino al ’99 si era obbligati ad iscriversi forzatamente solo nella scuola viciniore, dopo la Legge voluta dal Ministro Berlinguer, ciascuno può effettuare la propria scelta in base a quella che è l’offerta formativa dell’Istituto scolastico che maggiormente gli aggrada, ed eventualmente cambiare liberamente Scuola se questa non la soddisfa come aveva creduto. Le linee didattiche della Scuola sono decise dai professionisti vincitori di concorsi pubblici, persone con esperienza alle spalle pregressa (spesso come precari) e che sono tutelati dalla Costituzione della Repubblica. La didattica non è mai in alcuna Scuola italiana decisa dai genitori, questi hanno voce solo in sede di Consiglio di Istituto dove si adotta il Piano dell’Offerta Formativa predisposto dal Collegio Docenti. Le scelte didattiche ovviamente prendono spunto dalle proposte dal territorio, ma le Scuole migliori vanno “avanti” (inserendo anche proposte che altri magari non “vedono”), ma sempre “aggiungendo”, mai “togliendo”. Ecco perché alla Melone il crocifisso, oltre che per Legge, è in tutte le aule perché voluto e non infastidisce nessuno, come non infastidiscono le gare di presepi o le feste di Halloween o quelle di compleanno o le foto del Mahatma Gandhi eccetera. Cultura è apertura, voglia di confrontarsi e conoscersi, è rifiuto della paura del diverso. Le linee didattiche della “Melone” sono ben note da tempo, ma da ancora prima della “Melone” l’interculturalità, l’apertura al territorio era il “cavallo di battaglia” della “Ladispoli 1” (dove sono reggente solo da un paio di mesi e della cui linea didattica non ho meriti né demeriti, se non quello di renderne trasparente l’attività. Strano che al richiamo del condottiero nazionale, i circa 2000 firmatari abbiano dimenticato le feste dell’intercultura e le lezioni mattutine di lingue e culture di altri Paesi svolte negli anni precedenti e senza che nessuno obiettasse nulla perché non c’erano elezioni in vicinanza o non occorreva far leva sulla “pancia” degli ignoranti perché i voti si ottenevano in altro modo.
In merito alla possibilità di contestare le scelte didattiche dell’insegnante, occorre ricordare che l’art. 33 della Costituzione della Repubblica tutela la libertà di insegnamento: le decisioni del docente su cosa e come insegnare sono inappellabili ed indiscutibili. D’altro canto, se si potesse mettere in discussione le scelte del docente, questi non potrebbe insegnare più nulla perché riceverebbe dei “veto” su qualsiasi cosa. In effetti, non occorre nasconderlo, non c’è democrazia in classe e non ci può essere. L’esistenza della democrazia prevede che ci sia parità fra gli attori, ma in classe sulla cattedra abbiamo un docente vincitore di un concorso pubblico, professionista con grande esperienza lavorativa ed una cultura da diffondere, mentre sui banchi abbiamo 20 o 30 bambini che sono in classe per imparare e sono vogliosi di farlo: non c’è alcuna parità e conseguentemente non ci può essere democrazia, per cui ciò che il docente decide, per il bene della didattica, non si discute, come non si discutono tutti i progetti gratuiti cui il docente in classe decide di svolgere, in quanto ogni insegnate ha la facoltà e la libertà di decidere cosa sia meglio fare per la propria classe, in virtù della libertà di insegnamento.
D’altro canto la cultura non è sottrattiva, non si insegna nascondendo o togliendo concetti e conoscenza, ma anzi mettendo a confronto e portando nuove informazioni e nuove idee. Se imparare una lingua in più è una cosa positiva, che aiuta la comprensione della stessa propria lingua (solo un ignorante o chi sia in malafede potrebbe negarlo), la conoscenza di una civiltà, della quale sia portatore un nostro compagno di banco è un accrescimento inimmaginabile. Ma forse il fatto che proprio quel partito che si oppone al corso di romeno, sia lo stesso che ha saputo solo fare tagli a questa nostra Scuola (che ora, se vuole fare una didattica più simile a quella delle scuole private di èlite frequentate dai figli di alcuni politici, deve elemosinare fondi dai genitori) la dice lunga sul loro concetto di cultura e istruzione.
Cercare il “nemico” fuori dal proprio gruppo o dal proprio Paese serve a deviare l’attenzione da altro, nascondendo il vero nemico che è invece in casa propria, parla la nostra stessa lingua e ci tratta da incapaci mettendoci in testa le sue parole perché non siamo in grado di formularne di nostre. Nel momento in cui i cittadini cominceranno ad usare il proprio cervello, invece di appoggiarsi a quello degli altri, la società diverrà migliore e sempre meno persone potranno approfittarsi del prossimo.
Certamente non è poi da dimenticare che per gli italiani non esistono realmente degli “stranieri” perché l’Italia è stato sempre un Paese che ha attirato persone da altre nazioni, sia per guerra che per amore, ed è realmente impossibile avere un italiano che sia di sangue puro, proveniente direttamente da quello degli antichi romani.
Che magari non sia stato tempisticamente adeguato proporre il corso anche al “Ladispoli 1”, o meglio renderlo noto, visto che già si svolgeva da tempo anche lì, potrebbe essere vero. Ma il punto è che a me non piace nascondere ciò che fa la Scuola, perché è dalla non conoscenza del lavoro che questa svolge che nasce la denigrazione per i docenti e per il lavoro immenso che svolgono a favore dei bambini e dell’Italia del futuro, e tutto per uno stipendio inadeguato alla loro passione ed al loro impegno. Inoltre io non faccio politica e quindi non mi interessa minimamente di imbrogliare o risultare simpatico a persone cui non devo chiedere alcun voto, a me interessa solo il sorriso dei bimbi quando entro in classe, interessa sapere che ho lavorato per il loro bene.
Infine, occorre notare che la Scuola svolge lo stesso lavoro di diffusione della democrazia che svolgono i giornalisti pubblicando notizie e conoscenza, per consentire a ciascuno di comprendere e ragionare con la propria testa. Dal canto nostro non posso nascondere che l’azione scolastica è Politica, ma nel senso alto del termine: lo è nel senso che ci prefiggiamo l’obiettivo della pace e della fratellanza e ci muoviamo in questo senso. Questo a mio parere è Politica, con la “P” maiuscola, mentre la politica con la “p” minuscola deve stare fuori dalla Scuola, quella stessa scuola da dove, ad ascoltare certe persone che non gradiscono la nostra didattica, ma vorrebbero imporre la loro scelta, sembra non ci siano mai andate.
Riccardo Agresti